Frantoio Ipogeo

GIURDIGNANO

FRANTOIO IPOGEO

Fin dai tempi più antichi l’olio ha rappresentato la principale fonte economica per le genti di Terra d’Otranto: nel 1700 infatti esistevano a Giurdignano ben otto frantoi ipogei attivi; oggi invece, a testimonianza  dell’antica arte di produzione dell’ olio, rimane “il trappeto del Duca”, (il Duca Alfarano Capece, che risiedeva nel palazzo Baronale in piazza), uno dei migliori esempi di archeologia industriale  che ha cessato la sua attività nel 1940. Altri sette frantoi ipogei (ipo= sotto, geo= terra) hanno terminato la loro attività nel lontano 1870 e oggi sono  proprietà di privati i quali, sulla parte sovrastante, vi hanno costruito delle abitazioni. Sulla “Macina”, che si trovava  all’entrata del frantoio, c’era un tronco d’albero posto in verticale e un altro posto in orizzontale che sorreggeva il grosso cerchio di pietra; tutti e due i tronchi venivano legati ad un asino che  doveva continuare a girare in tondo, come dimostrano i solchi che sono ancora visibili sul pavimento. Sulla macina venivano poste le olive da cui si ricavava la “Pasta”, cioè la parte solida separata dal nocciolo. Una volta ottenuta, la pasta era posta nelle ceste e portata ai torchi, mentre il nocciolo rimaneva sulla macina. I torchi venivano fatti girare e  spremendo la pasta si ricavava l’olio vero e proprio che andava a finire nelle “ceste di raccolta” scavate nel pavimento. Nel frantoio del Duca a Giurdignano lavoravano circa una ventina di operai, tra cui cinque marinai che esportavano l’olio prodotto in grande quantità nelle estese proprietà nobiliari. Sul lato sinistro si può ancora notare la “cucina” degli operai:  durante i sei mesi della lavorazione dell’olio, da ottobre fino ad aprile, essi vivevano all’interno del frantoio; veniva loro concesso di uscirne solo la Domenica per vedere i familiari o per andare a messa. Terminati i sei mesi di lavoro, usciti dal frantoio, alcuni operai diventavano ciechi, dato che erano ormai impossibilitati a sopportare la luce del sole. Anche ad alcuni asini succedeva la stessa cosa e, una volta vecchie  o malate,  le povere bestie venivano abbandonate all’interno del frantoio a morire. Proseguendo, si può notare la “sala da pranzo”, con le panche e il tavolino, un locale con un foro centrale  che serviva per appoggiare una lucerna ad olio. Qui gli operai consumavano i loro pasti a turni di cinque e senza mai fermare la produzione, dato che si lavorava continuativamente dall’alba al tramonto. Tutt’intorno al frantoio c’erano i “coni”, costruzioni che servivano a contenere le olive prima della spremitura, ma che dovevano anche raccogliere l’olio quando la lavorazione era terminata. Queste costruzioni venivano cosí chiamate  perché avevano la forma di un cono capovolto, con alla sommità un foro che dava all’esterno e da dove i contadini  facevano scendere le olive. Ogni cono era riservato ad una persona che lo affittava per tutta la durata della lavorazione. In questo modo non si rischiava di mischiare le olive di un proprietario con quelle di un altro. A parte il Duca e gli operai, all’interno del frantoio non poteva accedere nessuno. Nel frantoio c’erano quattro “torchi”, ad ogni torchio lavoravano quattro persone, due da un lato e due dall’altro, il torchio e i coni all’entrata erano riservati al Duca. In fondo al frantoio, sul lato destro, c’erano due “corridoi”, in cui si trovavano le stanze degli operai, i quali dormivano rannicchiati a due a due in ogni stanza su un giaciglio di paglia e con una coperta per scaldarsi, poiché  la temperatura era di 12°. Un tempo infatti i frantoi venivano costruiti sotto terra e scavati nella roccia in modo da permettere il mantenimento di una temperatura costante, sia d’estate che d’inverno; ma anche perché la pietra leccese, con il passare del tempo, a causa della pressione dei torchi si sgretolava, ma non cedeva, quindi non crollava. Le stanze venivano scavate e protette da una specie di muretto, in modo da non far entrare il vento, visto che non c’erano porte. Sul soffitto di ogni stanza c’era una fessura che serviva per arieggiare il locale. Anche ai lati delle stanze c’erano delle fessure adibite alla comunicazione fra stanza e stanza. Sul pavimento dei corridoi in prossimità di  ogni stanza, c’erano dei buchi che avevano la funzione di “Bagni Notturni”. Durante la notte nel frantoio regnava l’oscurità più assoluta: era compito dello stalliere  spegnere tutte le lucerne ad olio che illuminavano l’ambiente durante il giorno. Solo la stalla rimaneva illuminata, dato che gli asini avevano paura del buio e cercavano di uscire per andare verso la luce. Nella stalla, che si trovava sul lato destro del frantoio, c’era la stanza dello stalliere, la più piccola e adatta ad un’unica persona; egli aveva anche il compito di addestrare e nutrire gli asini con il cibo contenuto in una stanzetta in fondo.